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Un’ostetrica di montagna tra Appennino e Dolomiti.

Le mamme sono tutte belle, si sa, lo dice anche una vecchia canzone. Ma una che ha fatto nascere 7.417 figli deve essere per forza bellissima. E, datemi retta, per niente sciupata da tante fatiche. Se poi si chiama Maria, anche se ha ottant’anni suonati, state pur sicuri che non si fermerà qui.

Quota 7.417 è soltanto provvisoria, di figli ne nasceranno altri ed altri ancora. Quella di Maria Pollacci, grissino di ferro e occhi dolcissimi, sembra, anzi è, una storia d’altri tempi. Tanto esemplare da non sembrar vera.  Perché oggi che andiamo sulla Luna e mandiamo sentinelle su Marte, oggi che in tutto il mondo è di moda uccidere bambini come se niente fosse, la sua appare una voce fuori del coro. E lei, che ha dedicato la vita a farli vivere, proprio per questo è diventata un simbolo anche se non lo sa. Attenzione però, non aspettatevi niente di eccezionale. Maria, che quando ho conosciuto era la zia e adesso è la nonna dei ragazzi di Villa San Francesco, a Pedavena, è tutto fuorché un personaggio da rotocalco. Se volete incontrarla, andate pure nella Cooperativa Arcobaleno di Casonetto Calcin, appena fuori il centro di Feltre. La troverete con le mani nella terra a curare i suoi fiori.

Tra primule, ciclamini, gerani, azalee, stelle di Natale vi sembrerà una piccola regina. Non ha la corona, ma vi accorgerete subito che una piccola aureola colorata sulla testa ce l’ha. È quella della sua semplicità, e non l’ho detto io che la vera grandezza sta proprio in questo. Poi, se siete curiosi, visto che avete deciso di leggere questo libro, fatevi spiegare come faceva a diciotto anni a non avere mai paura. A inerpicarsi in montagna con gli attrezzi del mestiere stipati nella borsa, tra tedeschi e partigiani che si davano la caccia. Allora, anche da noi, morire era più facile che vivere. Beata incoscienza? Molto di più: la consapevolezza che una creatura aveva bisogno di lei. E questo bastava per darle tutta la sicurezza del mondo. Se vi fa comodo chiamarlo dovere, fate pure così, ma non si tratta solo di questo.

Chi si dedica agli altri lo fa per amore, glielo dice il cuore, che è sempre una parola grossa da non usare. Quanto grande è il suo? Qui per saperlo c’è solo l’imbarazzo della scelta: basta chiederlo a uno dei tanti bambini, che adesso sono diventati uomini, a cui è stata sempre vicina. Però, badate, questa volta non mi riferisco a quelli che ha contribuito a far venire alla luce, ma agli altri, a cui ha dedicato l’intera vita. Sono i meno fortunati, che una mamma non l’hanno vista mai o l’hanno persa per strada e che lei, come ha potuto, ha cercato di sostituire, confortandoli nei piccoli e nei grandi affanni. Facendo di tutto, ma sempre con quel suo sorriso disarmante stampato sul volto a cui è difficile resistere. Quanto vale un attimo di serenità, per un ragazzo che soffre? Forse più di un tesoro e lei, solo tra Feltre e Pedavena, tra i piccoli ospiti della Comunità di Villa San Francesco e altrove, di tesori ne ha distribuiti tanti. Quello che ha ricevuto in cambio però, c’è da scommetterlo, è stato molto di più e lo si capisce solo a guardarla: dalla luce che le brilla negli occhi. Uno ci può credere o no, ma Francesco, che per arrivare ad amare la pace ha fatto prima la guerra, aveva ragione quando diceva che la vera ricchezza è quella dell’amore che si porta dentro e che è fortunato chi può darne una parte  anche agli altri. Con semplicità, ovviamente, come ha insegnato lui. Adesso, però, basta con le citazioni e torniamo alla nostra storia, che ha il sapore di una favola, da raccontare accanto al fuoco del camino. Io non so scrivere le prefazioni, già la parola mi intimidisce, ma so che le più belle sono quelle che durano poco. Perciò, se volete respirare una boccata d’aria pulita, fatta di emozioni e di sensazioni vere, tuffatevi in questo libro che ci ha regalato Sergio Sommacal.

Leggerete di una vita vera, che vi sorprenderà per la sua freschezza. L’autore, già affermato giornalista, ha la mano e lo stile del grande scrittore. Ci propone un affresco di vita con linguaggio semplice ed essenziale, senza mitizzare niente, soprattutto senza sovrapporsi mai al personaggio, seguendo con pazienza il filo della cronaca. C’è una cifra del grande Balzac, nella cura scrupolosa dei particolari e nel disegno degli ambienti, che sicuramente vi piacerà. E farete una scoperta che rincuora: non è vero che in tutto quello che ci gira intorno non c’è più speranza. La vicenda di Maria, ostetrica per professione e mamma per vocazione, è fatta apposta per dimostrare il contrario. Ma, vi avverto fin d’ora, la storia non è finita, avrà un seguito. Questi sono stati soltanto i suoi primi ottant’anni. Dopo quota ottomila, leggeremo il seguito e – non abbiamo dubbi – sarà altrettanto bello.
Auguri, Maria!”

 I proventi ricavati dalla diffusione di questo volume saranno devoluti a sostegno delle attività educative della Comunità di Villa San Francesco C.I.F. – Facen di Pedavena

 

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Informazioni aggiuntive

Peso 0,439 kg
Dimensioni 17 × 24 cm
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A cura di

Descrizione

Maria Pollacci. Un’ostetrica di montagna tra Appennino e Dolomiti.

Le mamme sono tutte belle, si sa, lo dice anche una vecchia canzone. Ma una che ha fatto nascere 7.417 figli deve essere per forza bellissima. E, datemi retta, per niente sciupata da tante fatiche. Se poi si chiama Maria, anche se ha ottant’anni suonati, state pur sicuri che non si fermerà qui.

Quota 7.417 è soltanto provvisoria, di figli ne nasceranno altri ed altri ancora. Quella di Maria Pollacci, grissino di ferro e occhi dolcissimi, sembra, anzi è, una storia d’altri tempi. Tanto esemplare da non sembrar vera.  Perché oggi che andiamo sulla Luna e mandiamo sentinelle su Marte, oggi che in tutto il mondo è di moda uccidere bambini come se niente fosse, la sua appare una voce fuori del coro. E lei, che ha dedicato la vita a farli vivere, proprio per questo è diventata un simbolo anche se non lo sa. Attenzione però, non aspettatevi niente di eccezionale. Maria, che quando ho conosciuto era la zia e adesso è la nonna dei ragazzi di Villa San Francesco, a Pedavena, è tutto fuorché un personaggio da rotocalco. Se volete incontrarla, andate pure nella Cooperativa Arcobaleno di Casonetto Calcin, appena fuori il centro di Feltre (BL). La troverete con le mani nella terra a curare i suoi fiori.

Tra primule, ciclamini, gerani, azalee, stelle di Natale vi sembrerà una piccola regina. Non ha la corona, ma vi accorgerete subito che una piccola aureola colorata sulla testa ce l’ha. È quella della sua semplicità, e non l’ho detto io che la vera grandezza sta proprio in questo. Poi, se siete curiosi, visto che avete deciso di leggere questo libro, fatevi spiegare come faceva a diciotto anni a non avere mai paura. A inerpicarsi in montagna con gli attrezzi del mestiere stipati nella borsa, tra tedeschi e partigiani che si davano la caccia. Allora, anche da noi, morire era più facile che vivere. Beata incoscienza? Molto di più: la consapevolezza che una creatura aveva bisogno di lei. E questo bastava per darle tutta la sicurezza del mondo. Se vi fa comodo chiamarlo dovere, fate pure così, ma non si tratta solo di questo.

Chi si dedica agli altri lo fa per amore, glielo dice il cuore, che è sempre una parola grossa da non usare. Quanto grande è il suo? Qui per saperlo c’è solo l’imbarazzo della scelta: basta chiederlo a uno dei tanti bambini, che adesso sono diventati uomini, a cui è stata sempre vicina. Però, badate, questa volta non mi riferisco a quelli che ha contribuito a far venire alla luce, ma agli altri, a cui ha dedicato l’intera vita. Sono i meno fortunati, che una mamma non l’hanno vista mai o l’hanno persa per strada e che lei, come ha potuto, ha cercato di sostituire, confortandoli nei piccoli e nei grandi affanni. Facendo di tutto, ma sempre con quel suo sorriso disarmante stampato sul volto a cui è difficile resistere. Quanto vale un attimo di serenità, per un ragazzo che soffre? Forse più di un tesoro e lei, solo tra Feltre e Pedavena, tra i piccoli ospiti della Comunità di Villa San Francesco e altrove, di tesori ne ha distribuiti tanti. Quello che ha ricevuto in cambio però, c’è da scommetterlo, è stato molto di più e lo si capisce solo a guardarla: dalla luce che le brilla negli occhi. Uno ci può credere o no, ma Francesco, che per arrivare ad amare la pace ha fatto prima la guerra, aveva ragione quando diceva che la vera ricchezza è quella dell’amore che si porta dentro e che è fortunato chi può darne una parte  anche agli altri. Con semplicità, ovviamente, come ha insegnato lui. Adesso, però, basta con le citazioni e torniamo alla nostra storia, che ha il sapore di una favola, da raccontare accanto al fuoco del camino. Io non so scrivere le prefazioni, già la parola mi intimidisce, ma so che le più belle sono quelle che durano poco. Perciò, se volete respirare una boccata d’aria pulita, fatta di emozioni e di sensazioni vere, tuffatevi in questo libro che ci ha regalato Sergio Sommacal.

Leggerete di una vita vera, che vi sorprenderà per la sua freschezza. L’autore, già affermato giornalista, ha la mano e lo stile del grande scrittore. Ci propone un affresco di vita con linguaggio semplice ed essenziale, senza mitizzare niente, soprattutto senza sovrapporsi mai al personaggio, seguendo con pazienza il filo della cronaca. C’è una cifra del grande Balzac, nella cura scrupolosa dei particolari e nel disegno degli ambienti, che sicuramente vi piacerà. E farete una scoperta che rincuora: non è vero che in tutto quello che ci gira intorno non c’è più speranza. La vicenda di Maria, ostetrica per professione e mamma per vocazione, è fatta apposta per dimostrare il contrario. Ma, vi avverto fin d’ora, la storia non è finita, avrà un seguito. Questi sono stati soltanto i suoi primi ottant’anni. Dopo quota ottomila, leggeremo il seguito e – non abbiamo dubbi – sarà altrettanto bello.
Auguri, Maria!”

 

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