Informazioni aggiuntive
Peso | 1,960 kg |
---|---|
Dimensioni | 21,5 × 30,5 cm |
Autore | |
Anno | |
Formato | |
Pagine | |
EAN |
€44,20
Esaurito
The woman, the motorcycle and the women’s fashion trends from 1894 to 1945. Die Frau, das Moto, die Mode von 1894 bis 1945.
“Una volta… quando le gonne delle donne arrivavano alle caviglie, i benpensanti dicevano che erano virago – cioè femmine con una più che vaga sfumatura maschile nell’idea e nel gesto – quelle che osavano cavalcare mostri di ferro che si alimentavano di olio e benzina. Erano femmine folli sparate come proiettili su strade arate da velocità per loro inconcepibili e fatte di terra battuta che impazziva in tempeste di polvere e agonie di fango. Stava per spirare il secolo del cavallo e del vapore, e quello insolente del motore a scoppio che si sarebbe sollevato fino in cielo non era ancora nato, ma già si organizzavano le prime gare di avveniristici marchingegni su ruote, spinti da una forza micidiale che spaccava timpani e affumicava volti esterrefatti, non si sa se di eccitazione o di paura.
E a quelle gare, incredibilmente, partecipavano anche le donne e, incredibilmente, erano anche capaci di vincere. L’eventualità per quei tempi, quando le donne nascondevano lo sguardo dietro la veletta, le caviglie in polacchine alte e strette, e le emozioni nei loro silenzi, era ritenuta talmente assurda che i piloti maschi inseguivano le vincitrici per accertarsi che di femmine effettivamente si trattasse. Il posto della donna sarebbe stato per molti anni ancora a fianco dell’uomo o dietro di lui, sulla moto soprattutto, come signora in carrozza, trasportata e condotta a destinazione, o come compagna di vita “in posa” per lo scatto, non delle partenze di gara, ma dell’apparecchio fotografico in ambienti decorati dal ristretto orizzonte prevedibile dei fondali di cartone o sopra vere motociclette parcheggiate all’aperto a motore spento e quindi inoffensive, dove lei cerca di apparire disinvolta e temeraria nonostante abiti in fuorigioco ed improbabili cappellini. Eppure, confuse tra le immagini conformi al canone estetico e sociale, spuntano qua e là, dapprima sporadiche e poi sempre più frequenti, le foto che ritraggono invece le virago ardimentose in pantaloni e casco, le donne con una certa idea di libertà in testa, le turiste solitarie, le futuriste attrezzate con tute da meccanico, berretti siberiani e occhialoni, le artiste dell’avanguardia sovietica, e via via le amiche in gita, le mogli evase dal recinto domestico, la pin-up pubblicitaria vestita da cowboy, la bionda vedette delle Chesterfield, le postine a bordo dei primi scooter, perché nel frattempo due guerre mondiali s’erano portate via gli uomini e avevano lasciato campo libero alle donne nelle fabbriche, negli uffici, nei servizi, perfino sulle motociclette, con un’accelerata roboante di modernità che sfrecciò in lungo e in largo, in su e in giù, talmente in giù da arrivare fino al Corno d’Africa, dove l’avvenente indigena capelli al vento fa bella mostra di sé in topless a bordo di una moto con la didascalia: “Impero Italiano A.O.I.: Emancipazione sportiva”.
Almeno quattro epoche di storia moltiplicate per quattro continenti, centinaia di profili aerodinamici, di serbatoi, ruote raggiate e vitrei fanali monocoli, aroma di benzina e di gomma surriscaldata, e tanti sguardi di tante donne, e dentro ciascuno di questi sguardi una storia, un segreto, il cielo dei loro sogni: se fate frullare le pagine, come un cinema di carta, sembra che tutte queste donne fuggano in sella alle loro moto in una dimensione del tempo lontana da qualunque destinazione ovvero determinazione di destino.”
Peso | 1,960 kg |
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Dimensioni | 21,5 × 30,5 cm |
Autore | |
Anno | |
Formato | |
Pagine | |
EAN |
The woman, the motorcycle and the women’s fashion trends from 1894 to 1945. Die Frau, das Moto, die Mode von 1894 bis 1945.
“Una volta… quando le gonne delle donne arrivavano alle caviglie, i benpensanti dicevano che erano virago – cioè femmine con una più che vaga sfumatura maschile nell’idea e nel gesto – quelle che osavano cavalcare mostri di ferro che si alimentavano di olio e benzina. Erano femmine folli sparate come proiettili su strade arate da velocità per loro inconcepibili e fatte di terra battuta che impazziva in tempeste di polvere e agonie di fango. Stava per spirare il secolo del cavallo e del vapore, e quello insolente del motore a scoppio che si sarebbe sollevato fino in cielo non era ancora nato, ma già si organizzavano le prime gare di avveniristici marchingegni su ruote, spinti da una forza micidiale che spaccava timpani e affumicava volti esterrefatti, non si sa se di eccitazione o di paura.
E a quelle gare, incredibilmente, partecipavano anche le donne e, incredibilmente, erano anche capaci di vincere. L’eventualità per quei tempi, quando le donne nascondevano lo sguardo dietro la veletta, le caviglie in polacchine alte e strette, e le emozioni nei loro silenzi, era ritenuta talmente assurda che i piloti maschi inseguivano le vincitrici per accertarsi che di femmine effettivamente si trattasse. Il posto della donna sarebbe stato per molti anni ancora a fianco dell’uomo o dietro di lui, sulla moto soprattutto, come signora in carrozza, trasportata e condotta a destinazione, o come compagna di vita “in posa” per lo scatto, non delle partenze di gara, ma dell’apparecchio fotografico in ambienti decorati dal ristretto orizzonte prevedibile dei fondali di cartone o sopra vere motociclette parcheggiate all’aperto a motore spento e quindi inoffensive, dove lei cerca di apparire disinvolta e temeraria nonostante abiti in fuorigioco ed improbabili cappellini. Eppure, confuse tra le immagini conformi al canone estetico e sociale, spuntano qua e là, dapprima sporadiche e poi sempre più frequenti, le foto che ritraggono invece le virago ardimentose in pantaloni e casco, le donne con una certa idea di libertà in testa, le turiste solitarie, le futuriste attrezzate con tute da meccanico, berretti siberiani e occhialoni, le artiste dell’avanguardia sovietica, e via via le amiche in gita, le mogli evase dal recinto domestico, la pin-up pubblicitaria vestita da cowboy, la bionda vedette delle Chesterfield, le postine a bordo dei primi scooter, perché nel frattempo due guerre mondiali s’erano portate via gli uomini e avevano lasciato campo libero alle donne nelle fabbriche, negli uffici, nei servizi, perfino sulle motociclette, con un’accelerata roboante di modernità che sfrecciò in lungo e in largo, in su e in giù, talmente in giù da arrivare fino al Corno d’Africa, dove l’avvenente indigena capelli al vento fa bella mostra di sé in topless a bordo di una moto con la didascalia: “Impero Italiano A.O.I.: Emancipazione sportiva”.
Almeno quattro epoche di storia moltiplicate per quattro continenti, centinaia di profili aerodinamici, di serbatoi, ruote raggiate e vitrei fanali monocoli, aroma di benzina e di gomma surriscaldata, e tanti sguardi di tante donne, e dentro ciascuno di questi sguardi una storia, un segreto, il cielo dei loro sogni: se fate frullare le pagine, come un cinema di carta, sembra che tutte queste donne fuggano in sella alle loro moto in una dimensione del tempo lontana da qualunque destinazione ovvero determinazione di destino.”
Illustrazioni: b/n
Testi in italiano, inglese, tedesco
Il volume è una raccolta di riflessioni e di parole, le parole della montagna che diventano pensieri. Sono le parole delle ALBE fatte di silenzi. Sono le parole della NOTTE che ha ceduto con discrezione i suoi segreti al VENTO. Sono le parole delle ACQUE che gorgogliano frale ombre di un BOSCO pieno d’incanto. Sono le parole delle ferite inferte dall’uomo ai Monti e che ora raccontano struggenti vicende di una GUERRA non troppo lontana. Sono le parole dell’INVERNO che sigilla la ROCCIA in uno scrigno di diamanti. Sono le parole delle NUVOLE, scialli leggeri dispiegati a coprire le spalle di giganti di pietra: le MONTAGNE.
L’autrice spiega di “aver cercato di fermare il suo tempo nei pensieri che ha raccolto nel lungo cammino che l’ha portata a frugare fra le pieghe di roccia, nei cupi canali, nella luce sfolgorante del sole, nella bandiera turchina del cielo. Un piccolo ricordo per farle pensare che vivere “quassù” non è mai vivere soli e che ogni parola è dono prezioso.
Dopo “le scarpette di vernice” che ha tanto colpito e commosso, Viviana Vazza, di Longarone superstite della tragedia del Vajont torna a riprendere la penna in mano per consegnarci questa ” carezza alla memoria”, una sorta di riconciliazione con il doloroso passato. Ne esce un quadro molto bello: la storia di un luogo e di una comunità e la presentazione di personaggi di grande intensità. Nella sua presentazione il Professor Gioachino Bratti ex-sindaco di Longarone auspica che questo libro possa sfiorare chi legge queste pagine, soprattutto i giovani, per renderli partecipi di un passato ricco di valori e di insegnamenti.
Viviana Vazza nasce a Longarone: all’età di 16 anni si confronta con la tragedia del Vajont che stravolge completamente la sua vita. Nonostante il dolore, ha sempre cercato di trovare spunti per lenirlo e trova negli studi di psicodramma una forza per superarlo. Ha avuto una vita ricca, dipinge e considera la scrittura una “manna del cielo”
Questa non è una guida, questa non è una mappa, questo non è un libro. E’ la traduzione in testi, immagini e dati della magnifica traversata del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi editati da un gruppo di appassionati che le vivono, le percorrono e le amano.
Progetto nato dalla collaborazione tra il Club Alpino Italiano sezioni di Agordo, Belluno, Feltre, Longarone, Oderzo e Val di Zoldo e il Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi
Tutte le nostre spedizioni in Italia avvengono via corriere BRT. Per costi e termini di servizio clicca qui.
Per contattarci: info@edizionidbs.it
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