Informazioni aggiuntive
Peso | 0,408 kg |
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Dimensioni | 16 × 23 cm |
Autore | |
Anno | |
Formato | |
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EAN |
€10,20
Il 9 ottobre 1963, alle ore 22.39, il distrastro del Vajont. In 6 minuti 50 milioni di metri cubi d’acqua travolsero uomini e cose. Tra di loro anche 31 caeranesi. Per Caerano fu la più grande tragedia della sua storia.
Scrive nell’introduzione Mauro Corona: “Queste persone, uomini e donne, operai, tecnici, impiegati, alcuni con rispettive famiglie, erano stati mandati lassù a lavorare, ad avviare la Filatura del Vajont, azienda tessile sorta allo sbocco della valle. Spazzati via anche loro.
Trentuno. Uomini, donne e bambini. Quindici bambini, se non ho letto male, da uno a quindici anni. Si sente poco parlare dei morti di Caerano. Nei discorsi sul Vajont ricorrono sempre Erto, Longarone e gli altri paesi coinvolti ma, di Caerano, neanche una parola. Come se quei morti fossero militi ignoti, senza piastrina né identità. Invece sono lì, con nomi e cognomi, età della fine e date di nascita.
Anche loro sono Vajont, anche loro purtroppo, sono la storia del Vajont. Scriveva il poeta portoghese Fernando Pessoa: “Quando l’erba crescerà sulla mia tomba, sia quello il segnale per dimenticarmi del tutto. Ma, se avessero la necessità di interpretare l’erba verde sulla mia tomba, dicano che io continuo a rinverdire e a essere naturale”. E allora non lasceremo crescere l’erba sulla memoria dei trentun caeranesi, fratelli nella morte. Continueremo a farli rinverdire nel ricordo. È tutto quello che possiamo fare, purtroppo. Ma lo dobbiamo fare.”
Peso | 0,408 kg |
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Dimensioni | 16 × 23 cm |
Autore | |
Anno | |
Formato | |
Pagine | |
EAN |
Il 9 ottobre 1963, alle ore 22.39, il distrastro del Vajont. In 6 minuti 50 milioni di metri cubi d’acqua travolsero uomini e cose. Tra di loro anche 31 caeranesi. Per Caerano fu la più grande tragedia della sua storia.
Scrive nell’introduzione Mauro Corona: “Negli ultimi anni, soprattutto dopo Paolini e Martinelli con le rispettive testimonianze, (teatro e cinema) si è parlato tanto, forse troppo, di questa “morte costruita”, di questo Vajont che in ultima s’annunciava giorno dopo giorno e che, vigliaccamente, cinici predatori tenevano nascosto a scopo di lucro.
Sarebbe bastato evacuare i paesi, togliere la gente da sotto il maglio, ma se sfollavano la gente, Enel avrebbe drizzato le orecchie e non avrebbe più comprato la diga dalla Sade. E allora stettero zitti. Tutti. Una bella banda di farabutti. La storia del Vajont compie 45 anni, abbastanza per lenire le ferite, pochi per chi ha avuto i morti. E saranno sempre pochi, anche tra un secolo. Ormai la storia del Vajont è conosciuta e con essa i nomi dei luoghie dei paesi colpiti. Longarone, Codissago, Castellavazzo, Pirago, Erto e Casso. Anche i nomi dei morti si conoscono.
Il cimitero di Fortogna (recentemente abbellito e massacrato) li riporta tutti. Alcuni erano lavoranti alla diga, uomini e donne di altri paesi, non di quelli citati sopra. Pochi sanno però, dopo tanto tempo, che trentuno (31) di quei morti erano di Caerano San Marco, laborioso paese in provincia di Treviso. Queste persone, uomini e donne, operai, tecnici, impiegati, alcuni con rispettive famiglie, erano stati mandati lassù a lavorare, ad avviare la Filatura del Vajont, azienda tessile sorta allo sbocco della valle. Spazzati via anche loro.
Trentuno. Uomini, donne e bambini. Quindici bambini, se non ho letto male, da uno a quindici anni. Si sente poco parlare dei morti di Caerano. Nei discorsi sul Vajont ricorrono sempre Erto, Longarone e gli altri paesi coinvolti ma, di Caerano, neanche una parola. Come se quei morti fossero militi ignoti, senza piastrina né identità. Invece sono lì, con nomi e cognomi, età della fine e date di nascita.
Io stesso non ne sapevo niente, forse m’ero dimenticato, entrambi buoni motivi per vergognarmi. Né i caeranesi m’hanno aiutato. La loro dignità li fa star zitti. Sono stato spesso a Caerano San Marco. Motivi di lavoro, incontrare amici. La gente sapeva che ero di Erto, quindi del Vajont, ma nessuno, dico nessuno, mi ha mai parlato una volta di quei loro trentun morti, spazzati dall’acqua della diga. È gente seria, quella, non sbraita, si tiene il dolore sul petto, sotto la maglia, come si tiene un’immagine sacra. Non lo sbandiera, non fa del superstite una professione a scopo di pietà. Ma adesso, dopo 45 anni, quando si parla dei morti del Vajont, è doveroso, soprattutto giusto, ricordare anche i trentuno di Caerano San Marco.
Anche loro sono Vajont, anche loro purtroppo, sono la storia del Vajont. Scriveva il poeta portoghese Fernando Pessoa: “Quando l’erba crescerà sulla mia tomba, sia quello il segnale per dimenticarmi del tutto. Ma, se avessero la necessità di interpretare l’erba verde sulla mia tomba, dicano che io continuo a rinverdire e a essere naturale”. E allora non lasceremo crescere l’erba sulla memoria dei trentun caeranesi, fratelli nella morte. Continueremo a farli rinverdire nel ricordo. È tutto quello che possiamo fare, purtroppo. Ma lo dobbiamo fare.”
Indice
Presentazione di Luciana Velo Pag. 7
Il Vajont di Caerano San Marco di Mauro Corona Pag. 8
Prefazione di Toni Sirena Pag. 10
Nota dei curatori Pag. 12
Canto per il Vajont Pag. 17
I Caeranesi a Longarone Pag. 39
Caerano e il Vajont oggi Pag. 124
Questa non è una guida, questa non è una mappa, questo non è un libro. E’ la traduzione in testi, immagini e dati della magnifica traversata del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi editati da un gruppo di appassionati che le vivono, le percorrono e le amano.
Progetto nato dalla collaborazione tra il Club Alpino Italiano sezioni di Agordo, Belluno, Feltre, Longarone, Oderzo e Val di Zoldo e il Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi
Dopo la versione italiana del volume andata esaurita, Verica propone anche la versione in inglese per poter raggiungere ancora più lettori. Di qualsiasi lingua, di qualsiasi etnia o colore tutti abbiamo bisogno di un porto sicuro.
Affresco di un epoca ed odissea di una famiglia, come tante, attraverso le tappe di un viaggio tra ricordi, sacrifici e rinunce per cercare, ognuno a modo suo, un posto da chiamare casa.
Quando si diffuse nell’ottobre del 1917 la notizia della rotta di Caporetto, anche tra le genti nel Bellunese sorse il panico per una imminente invasione dell’esercito austro-tedesco. Purtroppo quella non rimase solo una sensazione, poichè nei primi giorni di novembre, le truppe si insediarono nelle vallate e per la prima volta i Bellunesi si trovarono la guerra letteralmente in casa.
Gianni Viel crede fortemente che il terreno teatro di questa battaglia, trattenga segni e tracce visibili di quanto i nostri predecessori hanno subito in quei giorni tragici. Lo stesso recupera materiali, ma pulisce anche i luoghi dalla vegetazione infestante e posiziona tabelle indicative per chi volesse avventurarsi in quei luoghi.
L’incontro con Giorgio Tosato ha permesso di contestualizzare l’argomento anche da un punto di vista storico grazie all’utilizzo di materiali documentali e la capacità narrativa dello stesso autore di molti libri sulla Grande Guerra
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