Informazioni aggiuntive
Peso | 1 kg |
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Dimensioni | 16 × 23 cm |
Anno | |
Autore | |
EAN | |
Formato | |
Pagine |
€12,75
Doveva essere un semplice attacco dimostrativo che avrebbe garantito il successo della Strafexpedition ingannando gli italiani sui reali obiettivi dell’offensiva. L’ostinazione del comandante della Ionio, l’incompetenza dei pianificatori austriaci e la situazione metereologica trasformarono però una semplice azione diversiva in un inutile scontro sanguinoso.
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IL LAGO DELLA MORTE : LA BATTAGLIA CHE AVREBBE DOVUTO INGANNARE GLI ITALIANI SUGLI OBIETTIVI DELLA STRAFEXPEDITION
Doveva essere un semplice ma violento attacco dimostrativo che avrebbe garantito il successo della Strafexpedition ingannando gli italiani sui reali obiettivi dell’offensiva. La cocciuta ostinazione del Generale Andrea Graziani comandante della brigata Ionio, l’incompetenza dei pianificatori austriaci e la eccezionale situazione metereologica trasformarono però in uno scontro sanguinoso, e soprattutto inutile, quella che avrebbe dovuto essere una semplice azione diversiva.
Lo racconta Luca Girotto nel libro “Il lago della morte. 15-16 maggio 1916 La battaglia per Monte Còlo”. Sono 212 pagine in cui l’autore, con il supporto di materiali fotografici e documentari in gran parte inediti, ricostruisce un episodio quasi sconosciuto al grande pubblico ma la cui riuscita avrebbe potuto influenzare in misura rilevante le sorti dell’offensiva austroungarica sugli Altopiani.
Siamo in Valsugana, nel territorio montano del comune di Ronchi, sul versante settentrionale della Valle del Brenta: “una posizione strategicamente irrilevante anche se contesa e potentemente trincerata – spiega Girotto – Qui, tra 15 e 16 maggio in una notte di luna piena e con il terreno innevato, gli imperiali del XVII Korps attaccano con due battaglioni in quella che vorrebbe essere una semplice azione dimostrativa, funzionale a ingannare l’Esercito Italiano distraendone le forze dalla zona di Asiago dove è prevista a breve l’azione principale, la Maj-Offensive (STRAFEXPEDITION). I comandi italiani non se lo aspettano, né hanno creduto a quanto preannunciato dai disertori nelle giornate antecedenti.
Alle 10 del mattino a Monte Còlo, presidiato dai fanti della neoarrivata brigata Ionio, si scatena l’inferno. Da parte italiana ci sono reparti inesperti e quasi ignari dei luoghi, dall’altra due battaglioni di seconda schiera formati da militari di etnia slava e romena. Deve essere una banale scaramuccia di poche fucilate e qualche colpo d’artiglieria, ma la sorte decide diversamente: il combattimento infuria per dodici ore, trasformandosi per gli attaccanti in un inatteso ed inutile bagno di sangue al termine del quale i fanti della Jonio, temporaneamente vincitori, rimangono padroni del campo pur perdendo 234 uomini. Per le forze imperiali il sacrificio tremendo – 873 tra soldati ed ufficiali, con compagnie che hanno perso oltre il 50% degli effettivi – non è invece accompagnato dal benchè minimo risultato.
Ironia della sorte, cinque giorni dopo – a seguito degli sviluppi dell’offensiva austriaca sugli Altopiani – gli italiani saranno costretti ad abbandonare le posizioni fino ad allora così tenacemente difese. E agli austriaci non resterà che constatare amaramente come una semplice attesa avrebbe potuto far risparmiare tante vite umane conseguendo ugualmente gli obiettivi”.
Il volume è una raccolta di riflessioni e di parole, le parole della montagna che diventano pensieri. Sono le parole delle ALBE fatte di silenzi. Sono le parole della NOTTE che ha ceduto con discrezione i suoi segreti al VENTO. Sono le parole delle ACQUE che gorgogliano frale ombre di un BOSCO pieno d’incanto. Sono le parole delle ferite inferte dall’uomo ai Monti e che ora raccontano struggenti vicende di una GUERRA non troppo lontana. Sono le parole dell’INVERNO che sigilla la ROCCIA in uno scrigno di diamanti. Sono le parole delle NUVOLE, scialli leggeri dispiegati a coprire le spalle di giganti di pietra: le MONTAGNE.
L’autrice spiega di “aver cercato di fermare il suo tempo nei pensieri che ha raccolto nel lungo cammino che l’ha portata a frugare fra le pieghe di roccia, nei cupi canali, nella luce sfolgorante del sole, nella bandiera turchina del cielo. Un piccolo ricordo per farle pensare che vivere “quassù” non è mai vivere soli e che ogni parola è dono prezioso.
Dopo “le scarpette di vernice” che ha tanto colpito e commosso, Viviana Vazza, di Longarone superstite della tragedia del Vajont torna a riprendere la penna in mano per consegnarci questa ” carezza alla memoria”, una sorta di riconciliazione con il doloroso passato. Ne esce un quadro molto bello: la storia di un luogo e di una comunità e la presentazione di personaggi di grande intensità. Nella sua presentazione il Professor Gioachino Bratti ex-sindaco di Longarone auspica che questo libro possa sfiorare chi legge queste pagine, soprattutto i giovani, per renderli partecipi di un passato ricco di valori e di insegnamenti.
Viviana Vazza nasce a Longarone: all’età di 16 anni si confronta con la tragedia del Vajont che stravolge completamente la sua vita. Nonostante il dolore, ha sempre cercato di trovare spunti per lenirlo e trova negli studi di psicodramma una forza per superarlo. Ha avuto una vita ricca, dipinge e considera la scrittura una “manna del cielo”
Questa non è una guida, questa non è una mappa, questo non è un libro. E’ la traduzione in testi, immagini e dati della magnifica traversata del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi editati da un gruppo di appassionati che le vivono, le percorrono e le amano.
Progetto nato dalla collaborazione tra il Club Alpino Italiano sezioni di Agordo, Belluno, Feltre, Longarone, Oderzo e Val di Zoldo e il Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi
Tutte le nostre spedizioni in Italia avvengono via corriere BRT. Per costi e termini di servizio clicca qui.
Per contattarci: info@edizionidbs.it
Trentino –
Presa del Còlo certificata ma mai avvenuta
Nel nuovo libro di Luca Girotto si racconta come le truppe italiane si fermarono a 100 metri dalla vetta
di Paolo Piffer in Trentino, 12 agosto 2016
Era una notte piena zeppa di nebbia che non ci si vedeva ad un metro e gli italiani pensavano per davvero di aver conquistato la vetta del Còlo, nel territorio di Ronchi, sul versante settentrionale della valle del Brenta, sopra la Valsugana. Le postazioni austro-ungariche erano state debellate e le carte già scrivevano di vittoria, in un moto quasi d’ansia da prestazione, quando il cervello risente ancora dei battiti accelerati del cuore.
Peccato che gli imperiali stessero anche un po’ più sopra,meno di un centinaio di metri, non di più, quella sì, la cima. Ma una volta che a firmare il bollettino ci si mise Cadorna, il capo supremo, vai a spiegare al “generalissimo” che quella no, non era la vetta, ma una quota inferiore. E, per tanti che c’erano, e pure per i caporioni che stavano in valle e in pianura, il
Regio esercito aveva piantato il tricolore sul Còlo, sebbene chiunque avesse un minimo di onestà intellettuale sapesse bene che era una balla, seppur vidimata dagli alti comandi e quindi
senza possibilità di smentita.
E’ uno degli aneddoti contenuti nell’ultimo saggio di Luca Girotto, appassionato storico valsuganotto con alle spalle una pubblicistica che somma titoli su titoli riguardo la Prima guerra
mondiale combattuta in Valsugana. “Il lago della morte. 15-16 maggio 1916 la battaglia per monte Còlo”, pubblicato da Dbs di Seren del Grappa, è da pochi giorni in libreria e ricostruisce
uno dei tanti episodi misconosciuti e dimenticati di quel conflitto attraverso una serie di fotografie e documenti scovati negli archivi e, almeno in parte, inediti.
L’aneddoto di cui sopra è precedente alla battaglia vera e propria, combattuta su un fronte ritenuto per lungo tempo minore e destinato a non entrare certo nei libri di storia. Se la storia raccontata in apertura rivestì i toni della farsa, così non si può dire di quei due giorni, il 15 e 16 maggio del ’16, durante i quali gli austro- ungarici decisero di sfondare le postazioni italiane, a mo’ di diversivo, in preparazione alla Strafexpedition che sarebbe iniziata da lì a poco. I comandi asburgici impiegarono bosniaci, dalmati, rumeni, i pària dell’Impero,
carne da macello. Di fronte si trovarono gli inesperti reparti della neo arrivata brigata Ionio, fantaccini che neanche sapevano dove fossero. Poteva essere una scaramuccia, uno scambio di fucilate o poco più. Si trasformò in un bagno di sangue.
Le cronache riportate da Girotto raccontano di soldati slavi morti annegati nel lago Grande, che stava quasi in mezzo ai due fronti, nonostante fossero notti di luna piena. Alla fine, i morti di parte austro-ungarica furono 873 mentre gli italiani, che mantennero le posizioni, persero 234 effettivi. La beffa arrivò a breve per entrambi. I regi smobilitarono dopo pochi giorni per contribuire a tamponare l’offensiva austro-ungarica sugli Altopiani. E gli slavi sopravvissuti constatarono, amaramente, che sarebbe bastato aspettare qualche giorno per evitare la carneficina.
Corriere della Sera – 28 settembre 2016 –
Corriere della Sera, 28 settembre 2016
Articolo di Antonio Carioti
Grande guerra – Luca Girotto ricostruisce ne «Il lago della morte» (Dbs) i combattimenti di Monte Còlo nel 1916
Valsugana, la più inutile delle battaglie inutili
Doveva essere un semplice diversivo, ne scaturì un massacro, per giunta del tutto ininfluente dal punto di vista delle operazioni belliche in quella fase della Prima guerra mondiale. Si tratta del combattimento che infuriò tra il 15 e il 16 maggio 1916 intorno al Monte Còlo, in Valsugana (Trentino), ricostruito nei particolari con un ricchissimo apparato iconografico da Luca Girotto ne Il lago della morte (Edizioni Dbs).
Negli stessi giorni gli austroungarici lanciarono più a sud la massiccia offensiva sull’altopiano di Asiago (passata alla storia in Italia come Strafexpedition), che era stata pensata dal loro comandante supremo, Franz Conrad von Hötzendorf, per cogliere alle spalle le nostre armate schierate lungo l’Isonzo dal suo rivale Luigi Cadorna.
L’azione di Monte Còlo serviva solo per tenere all’erta le truppe italiane di stanza in quel settore, mentre la partita decisiva si giocava altrove. Ma le circostanze del momento, ben ricostruite da Girotto, trasformarono invece quella che poteva essere una scaramuccia in una sanguinosa battaglia. (…) Insomma, uno scontro sanguinoso e al tempo stesso irrilevante, che comunque meritava di uscire dal dimenticatoio.